20 luglio 1961: Nel corso della seduta antimeridiana del Senato, i partiti della sinistra portano un duro attacco alla Rai: l'ente televisivo viene definito da Pastore (Pci) un "feudo esclusivo della DC e uno strumento determinante per la clericalizzazione della vita pubblica e per il sottogoverno", mentre Busoni (Psi) pone l'accento sulla mancanza di una regolamentazione legislativa capace di imprimere alle trasmissioni Rai imparzialità e correttezza. (Corriere della Sera 21/7/61). Il PCI presenta una mozione in cui si chiede che "nel consiglio d'amministrazione della RAI-TV siano compresi rappresentanti di tutti i partiti politici, e negli organi direttivi e redazionali siano inclusi intellettuali e giornalisti capaci, senza discriminazione politica, in modo che si stabiliscano equilibri e reciproco controllo". Il senatore Pastore, tra l'altro, si sofferma sulla sentenza della Corte Costituzionale del 13 luglio 1960: "La Corte ha ritenuto che il monopolio statale non sia anticostituzionale, in quanto la Costituzione ammette, in determinati casi, la possibilità di monopoli statali. Naturalmente la Corte non ha detto che il monopolio statale sia obbligatorio; quindi lo stato potrebbe anche trovare un'altra soluzione non monopolista. Non mi soffermo sulla questione che, al momento, non mi pare di attualità. E' evidente che potrebbe sorgere una soluzione nuova, potrebbe darsi che lo sviluppo dei mezzi tecnici fosse tale da permettere facilmente l'istituzione di altre reti televisive. D'altra parte ci sono molti paesi in cui non esiste monopolio statale o dove, accanto ad un istituto statale di radiodiffusione, esistono anche enti privati che hanno ottenuto la concessione. Ritengo però che in questo momento la sentenza della Corte costituzionale abbia un valore particolare. Riconosciuto dunque che il monopolio statale non è anticostituzionale, la Corte esamina il problema posto dall'art.21 della Costituzione, il quale stabilisce che i cittadini italiani hanno il diritto di diffondere liberamente il proprio pensiero per mezzo della stampa, e con qualsiasi altro mezzo di diffusione. La Corte costituzionale riconosce quindi il diritto ai cittadini italiani di diffondere il proprio pensiero anche con il mezzo radiofonico e quello televisivo, e giunge ad affermare che, nella situazione italiana attuale, il mezzo migliore per permettere a tutti i cittadini di diffondere il proprio pensiero è precisamente il monopolio statale". Dopo il comunista Pastore interviene il socialista Busoni:"Nella situazione della Rai è anzitutto da rilevare che queto organo di monopolio pubblico (...) vive in una situazione economico finanziaria paradossale. Passata la maggioranza delle azioni all'Iri, la Rai è sottratta, come tutte le società anonime, ai controlli contabili della Ragioneria dello Stato, della Corte dei conti e del Parlamento, organi ai quali sono soggetti tutti gli enti pubblici. Ma una parte delle azioni sono in proprietà di privati tra i quali sono presenti, attraverso il presidente, note società italiane del gruppo svedese Ericson, fornitore di impianti elettrici e telefoni. E non si comprende come mai non si sia pensato già da molto tempo, né si pensi ancora, a riscattare i pacchetti azionari dei privati in quanto sia gli azionisti già proprietari della maggioranza delle azioni dell'originaria SIP come gli azionisti diretti della RAI vengono a trarre indebiti profitti dalla posizione di monopolio, dai contributi statali e dai privilegi fiscali concessi dallo Stato alla RAI perché gestisce un pubblico servizio". Poi, più avanti, ancora Busoni esprime, commentando la sentenza del luglio '60, la posizione allora più diffusa tra le forze della sinistra:"La Corte ha affermato, soprattutto a causa della limitazione delle frequenze radiofoniche a disposizione, che non contrasta con la costituzione il permanere dell'attuale situazione di monopolio. Per nostro conto possiamo aggiungere che in una democrazia capitalistica, la disponibilità del costoso mezzo sarebbe sempre a disposizione di chi ha più denaro e perciò, a nome dei poveri, non abbiamo da rivendicare, con la libera disponibilità, un diritto di libertà che, come avviene per altre libertà, sarebbe solo apparente e non reale". (Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, seduta del 20/7/61). Il giorno dopo, il ministro Spallino risponde che ciò è impossibile secondo le norme della convenzione tra stato e Rai, che scade nel 1972. Alla fine dell'animato dibattito Pastore ritira la mozione
Corriere della Sera - 22 luglio 1961
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